JWG

Ein Lehrer, der das Gefühl an einer einzigen guten Tat, an einem einzigen guten Gedicht erwecken kann, leistet mehr als einer, der uns ganze Reihen untergeordneter Naturbildungen der Gestalt und dem Namen nach überliefert. J.W.G.

domenica 30 dicembre 2012

Scienza=Passione= Vita

                                                     
Oggi 30/12/2012 il mondo piange Rita Levi Montalcini, colei che incarnava scienza e passione,è venuta a mancare all'età di 103 anni. La sua vita è un esempio per tutti e pertanto ne vale la pena  dedicarle qualche riga. Nasce il 22 aprile 1909 a Torino. Entrata alla scuola medica di Levi all'età di 20 anni, si laurea nel 1936. Fermamente intenzionata a proseguire la sua carriera accademica come assistente ricercatrice in neurobiologia e psichiatria, è costretta a causa delle leggi razziali emanate dal regime fascista nel 1938 , ad emigrare in Belgio insieme a Giuseppe Levi. In quel periodo soffiavano venti di guerra ed era difficile trovare luoghi dove poter stare tranquilli, figuriamoci intraprendere delle ricerche, ma la sua forza di volontà era perfino più forte della guerra infatti allestì un laboratorio di neuro-embriologia in camera da letto, continuando così le sue ricerche in un laboratorio casalingo. Quale esempio più calzante di ricerca per la ricerca! Nel '43 approda a  Firenze, dove vivrà in clandestinità per qualche anno, prestando la sua collaborazione come medico volontario degli alleati. Nel '45  la guerra finisce lasciandosi alle spalle milioni di morti e devastazioni inimmaginabili in tutti i Paesi. Dopo così lungo peregrinare  senza un porto sicuro in cui rifugiarsi, Rita torna nella sua città natale dove riprende con più serenità le sue importanti ricerche insieme a Levi, sempre attraverso un laboratorio domestico. Poco dopo riceve un'offerta difficilmente rifiutabile dal dipartimento di zoologia della Washinghton University. Accetta, dopo essersi assicurata che potrà proseguire le stesse ricerche che aveva cominciato a Torino. La giovane Rita ancora non sa che l'America diventerà una sorta di sua seconda patria, vivendoci con incarichi prestigiosi per oltre 30 anni fino al 1977. La sua straordinaria ricerca ha prodotto risultati altrettanto straordinari, nel 1951-52 scopre infatti il fattore di crescita nervoso noto come Ngf, che gioca un ruolo essenziale nella crescita e differenziazione delle cellule nervose, sensoriali e simpatiche. Per circa un trentennio prosegue le ricerche su questa molecola proteica e sul suo meccanismo d'azione, per le quali nel 1986 le viene conferito il Premio Nobel per la Medicina. Queste sono solo poche delle tante cose che rendono questa piccola grande donna un fiore all'occhiello, un orgoglio, per il nostro Paese. In un'intervista rilasciata a "La Repubblica" il 2 gennaio 2009 la Montalcini , quasi centenaria, sostiene: "Il cervello non ha rughe" evidenziando che nonostante l'età riconosce di avere molte più possibilità ora che a vent'anni, per profondità di pensiero e intuito. In tale intervista offre anche la sua posizione a proposito del conflitto insanabile tra scienza e fede: "Ognuno può essere della religione che vuole, cristiana, musulmana...io sono della religione laica. Ma non c'è affatto contrasto con la ricerca. Non si possono mettere lucchetti al cervello, perchè la sola cosa che ci differenzia dagli animali." Questo tema così dibattuto è stato trattato anche in un altro articolo di A. Gnoli "Cabibbo la scienze e il gatto", che riporta l'intervista a Cabibbo, fisico CREDENTE,  il quale ritiene che Dio e scienza siano due cose separate e per quanto concerne il tema dell'evoluzione esistono delle posizioni disapprovanti, ma lo stesso Giovanni Paolo II a suo tempo ne conobbe la fondatezza. Gli scienziati non sostengono che Dio non esiste ma per fare scienza occorre operare come se non esistesse. Alla luce di queste riflessioni, io non credo che scienza e fede siano acerrime nemiche , anche se storicamente parlando abbiamo avuto molti esempi che farebbero pensare il contrario, tra cui Galileo e Darwin. Penso che questo conflitto sia solo apparente e che un dialogo e un confronto tra loro è possibile, portando conseguenze positive per entrambe. La scienza è necessaria alla fede per impedire che scada nella credulità, per recuperare il ruolo imprescindibile dell'intelligenza nella vita dell'animale umano. D'altro canto la fede è necessaria alla scienza affinché mantenga una certa umiltà e non perdi di vista il suo obiettivo, porsi a servizio dell'uomo. La stessa Montalcini è stata sempre attiva in campagne d'interesse sociale tra cui la responsabilità degli scienziati nei confronti della società. Su questo tema abbiamo discusso a lezione l'articolo " La scienza con il trucco così i test di laboratorio si ritoccano al photoshop" di Elena Dusi in cui viene proposto un grave problema in ambito scientifico: la manipolazione dei risultati della ricerca. La veridicità dei dati diventa un aspetto secondario rispetto alla competitività in un mondo della scienza a corto di fondi. Un particolare che mi ha fatto riflettere molto è il seguente:" Un metodo rivoluzionario messo a punto dalla Duke University sempre nel 2006 per scegliere la cura contro il tumore al polmone fu usato 4 anni negli USA, prima di scoprire che era basato su dati falsi". L'uomo della strada , chi appartiene al senso comune pensa che gli scienziati sappiano e presuppone che la ricerca sia veritiera, ma purtroppo non sempre è così. Non riesco a concepire l'atteggiamento dello scienziato, come si fa a manipolare dei dati che possono aprire spiragli di speranza per gente che vede la propria vita appesa a un filo e confida nella ricerca?Come si fa a fare del male non solo al prossimo ma anche a se stessi in quanto uomini? La ricerca genera miriadi di informazione che dovrebbero essere sfruttate al meglio. La ricerca è per tutti e deve essere OPEN SOURCE proprio come ritiene la sua paladina Ilaria Capua, una tra le cinque Revolutionary Minds, balzata alla ribalta internazionale per l'identificazione del codice genetico dell' aviaria e dell'A/H1N1, che ha messo su GenBang, la banca dati ad accesso aperto. Credo che il suo esempio sia degno di lode in quanto la ricerca è futuro, condividerla può accrescerla e migliorarla. Vorrei concludere questa trattazione con un aforisma della grandissima Moltalcini, anche lei fu un cervello in fuga al suo tempo, sostenitrice della meritocrazia, ritiene che l'Italia dovrebbe richiamare le menti italiane eccelse che si trovano in tutto il mondo in base al merito appunto e non per appartenenza ai gruppi di potere. Concordo con tutto ciò, ma purtroppo in Italia non si fanno progressi in tal senso, ciò però non deve far perdere la speranza a chi crede e vuole farcela con le proprie forze nel proprio Paese.  
" Dico ai giovani: non pensate a voi stessi, pensate agli altri. Pensate al futuro che vi aspetta, pensate a quello che potete fare, e non temete niente. Non temete le difficoltà: io ne ho passate molte, e le ho attraversate senza paura,con totale indifferenza alla mia persona" (Rita Levi Montalcini)

sabato 29 dicembre 2012

"A colloquio con lo studioso" - Commento all'articolo di A.Gnoli



Si è sempre pensato che Scienza e Chiesa non possano convivere ma ciò non è del tutto esatto: non è necessario credere o mettere in risalto il fatto che alla base di tutto, alle spalle del mondo che noi conosciamo ci sia “un maitre”, come lo definisce Gnoli. Lo scienziato non è alla costante ricerca della prova che Dio non esista, bensì studia l’evoluzione del mondo e dell’intero universo, studia la sua base, l’atomo, cerca di prevedere l’evolversi della materia o si limita ad osservare i cambiamenti e a descriverli. Per questo motivo la Chiesa non può rinnegare la Scienza come tale, in quanto sarebbe come negare l’evidenza dei fatti, sarebbe come non accettare l’oggettiva evoluzione del mondo. “Lo stesso Giovanni Paolo II a suo tempo ne riconobbe la fondatezza”. Nonostante ciò, ancora oggi c’è sempre qualcuno pronto a diffidare delle nuove scoperte, ma ci si sbaglia a pensare che questi soggetti siano solo i cattolici o gli alti esponenti della Chiesa e il fatto che al suo interno vi sia una vera e propria Accademia della Scienza, di cui lo stesso Cabibbo è presidente, dovrebbe far pensare. Io sono d’accordo col pensiero di questo noto fisico delle particelle: Scienza e Fede Religiosa vanno messe su due piani diversi. Essere scienziato non vuol dire non credere in Dio, Cabibbo stesso è un uomo credente ma ciò non lo condiziona nelle sue ricerche. Scienza e Fede sono due cose diverse e l’una non esclude l’altra. Giustificare la propria miscredenza con la fiducia nella scienza è un po’ improprio. Nell’ articolo però si possono trovare tantissimi altri spunti di riflessione come l’atteggiamento di uno scienziato di fronte alla propria scoperta, le differenze tra le varie scienze,il rapporto scienza-etica. A tal proposito Cabibbo menziona quella di cui abbiamo tanto parlato a lezione: l’etica della ricerca. Egli ha ben settantatrè anni (nel 2008 al rilascio dell’intervista), con anni di esperienza alle spalle, anni di ricerche, numerose scoperte a cui deve la sua enorme fama, ormai non si lascia scoraggiare nemmeno dalla perdita del rinomato premio Nobel, assegnato a scienziati giapponesi che hanno messo in pratica la sua ricerca originaria; la sua è una ricerca per la ricerca, egli è soddisfatto delle sue scoperte e non parla di ingiustizia, non sputa sentenze, bensì rimane tranquillo, sereno. E’ normale per lui parlare dell’etica della ricerca come l’etica della verità: gli scienziati in quanto tali non dovrebbero falsare o addirittura inventare risultati di ricerca e renderli pubblici. Alla comunità non servono storielle a cui credere come la presunta cura per il cancro ai polmoni di cui si è parlato nell’ articolo della Dusi, bensì di fatti, di fatti VERI e concreti che proprio lo scienziato con la sua conoscenza dovrebbe offrirle. Ma di questo ne abbiamo parlato abbastanza. L’ultimo spunto riguarda l’eutanasia, ma aspetto a darne un mio giudizio.

Francesca Martucci

James Bradner regala la sua scoperta della molecola antitumorale JQ1


So di essere in ritardo con l'argomento ma volevo postare questo interessante articolo che ho letto oggi sul giornale "Il Venerdì" di cui vi allego due foto in quanto non sono riuscita a trovarlo online! credo che siano poche le persone con un'umanità così grande come questo signore, James Bradner, che nientemeno ha deciso di regalare la sua molecola JQ1 che permetterà (si spera) di andare in contro ad una nuova frontiera della ricerca contro il cancro. E questa si che è ricerca open source! e noi saremmo disposti in tempo così duri a fare ciò che ha fatto lui?

venerdì 28 dicembre 2012

Riflessioni sull'articolo di Antonio Gnoli, “Cabibbo la scienza e il gatto” in «La Repubblica», 23 ottobre 2008


Antonio Gnoli, “Cabibbo la scienza e il gatto” in «La Repubblica», 23 ottobre 2008


Saggio –breve sull’articolo di Antonio Gnoli.


1.                  Scienza e fede a confronto

L’intervista fatta da Antonio Gnoli a Nicola Cabibbo offre importanti spunti di riflessione, poiché in essa vengono affrontate diverse tematiche etiche, ciascuna di rilevante importanza. Nicola Cabibbo, fisico teorico delle particelle elementari, nonché scienziato tra i più rinomati del mondo per aver identificato una famiglia di particelle ormai internazionalmente nota come “angolo di Cabibbo”, attualmente ricopre l’incarico di Presidente della Pontificia Accademia della Scienza: già nell’introduzione del suddetto articolo si evince chiaramente che, a primo acchito, agli occhi di un profano un incarico di natura religiosa come quello ricoperto, per l’appunto, da Cabibbo può apparire decisamente bizzarro, poiché è luogo comune che «la Chiesa non ama il pensiero scientifico, non ama le sue libertà, le sue incursioni dubitative nel mondo spirituale». Ma allora che ruolo ricopre Cabibbo nella cittadella del pensiero cattolico? E’ questo, dunque, il primo interrogativo di fondo che Antonio Gnoli rivolge allo scienziato, il quale, senza alcuna riluttanza, risponde enfatizzando il concetto secondo cui nella Pontificia Accademia della Scienza non convivono soltanto cattolici, bensì anche laici come Rita Levi Montalcini e persino musulmani: si tratta quindi di una comunità eterogenea che racchiude in sé i più celebri esponenti della scienza moderna, a prescindere che siano credenti o meno, ecco che cosa ci fa uno scienziato nel bel mezzo dello Stato Vaticano. Eppure – sottolinea Gnoli – l’accademia rimane pur sempre un’iniziativa ecclesiastica, quasi come se la Chiesa oggigiorno cercasse in tutti i modi di attribuire alla scienza compiti che non le competono minimamente, pertanto viene chiesto a Cabibbo: come si fa a conciliare due visioni del mondo e della vita così profondamente diverse l’una dall’altra, quali appunto il pensiero scientifico e quello teologico? E qui lo scienziato enfatizza un aspetto pregnante del delicato rapporto fra scienza e Chiesa, ossia il fatto che trattandosi per l’appunto di due visioni, come tali esse sono collocate su piani differenti e, conseguentemente, il ruolo degli esponenti dell’accademia consiste proprio nel «difendere la scienza anche dentro la chiesa», compito, questo, estremamente utile e importante perché – come sottolinea lo stesso Cabibbo – «avere una Chiesa che non capisce, che non si tiene al corrente delle cose che accadono nel mondo scientifico» è una Chiesa dalla “coscienza cieca”, tant’è vero che a proposito del divario tra evoluzionisti e creazionisti emerge un Cabibbo fermamente convinto che esistono scoperte scientifiche non ancora accettate dalla collettività, esattamente come accadde ai tempi di Galileo, ma noi viviamo ormai agli albori di una modernità in cui i dubbi e le perplessità sull’evoluzione non sono più tollerabili: a tal proposito «lo stesso Giovanni Paolo II a suo tempo ne riconobbe la fondatezza» e personalmente anch’io, come Gnoli, sono del parere che la teoria evoluzionistica «non può essere in contrasto con la fede individuale», perché se «il mondo è stato creato, perché non dovrebbe essere stato creato nel modo in cui lo vediamo funzionare?». Parole, queste, da vero credente, parole di Nicola Cabibbo: ebbene sì, perché Cabibbo nella suddetta intervista si definisce proprio un credente, ma non un credente comune, di certo non uno di quelli che si lasciano totalmente accecare dalla fede tanto da escludere dalla propria esistenza tutto ciò che allude alla dimensione del progresso, bensì un credente in cui Dio penetra nella sua visione scientifica come cosa a sé stante e, in quanto tale, da discernere dal proprio ruolo di scienziato; per Cabibbo semplicemente Dio è una cosa e la scienza è un’altra, non si può fingere di non accorgersi che la natura funziona sulla base di leggi che ne spiegano il funzionamento, leggi che governano l’universo con una coerenza assoluta che ormai è pura certezza scientifica. Allo stesso modo di Laplace, Cabibbo sostiene non che Dio non esiste, bensì che «per fare scienza occorre operare come se Dio non esistesse», dunque ammettere per fede l’esistenza di Dio e fare una scoperta scientifica sono due cose ben distinte e separate.
2.      Mancato Nobel per la fisica
Sin dall’incipit dell’intervista si delinea una problematica piuttosto delicata, poi ripresa e approfondita nelle righe conclusive: nonostante sia celebre in tutto il mondo per aver identificato, in qualità di fisico teorico, una famiglia di particelle ormai nota a livello internazionale come “angolo di Cabibbo”, purtroppo lo scienziato non è stato insignito del Nobel per questa sua sensazionale scoperta; al contrario, l’Accademia svedese ha ritenuto opportuno premiare, al suo posto, due giapponesi, i quali in verità non hanno fatto altro che portare avanti la ricerca originaria del nostro Cabibbo. Si tratta, indubbiamente, di una decisione che ha suscitato enorme scalpore, una decisione ritenuta nella nostra comunità scientifica una vera e propria ingiustizia, se non addirittura un oltraggio alla meritocrazia: eppure Cabibbo non ha voluto pronunciare una sola parola a riguardo di tutto ciò, preferendo rimanere piuttosto in assoluto silenzio. Chiamiamolo stoicismo, chiamiamolo buon gusto. Resta il fatto, però, che quando Antonio Gnoli domanda allo scienziato che cosa si prova dinanzi ad una propria scoperta scientifica, è proprio in quella risposta che spicca lo stato d’animo di Cabibbo: egli, senza un minimo di esitazione, risponde «incredulità, paura di essersi sbagliato, timore che qualcun altro abbia fatto la stessa scoperta e la pubblichi per primo». Eh già, probabilmente è proprio l’aver avuto quel timore, l’aver permesso che altri portassero avanti ciò su cui aveva investito tutte le sue energie, a suscitare adesso il suo rigoroso silenzio; ma quando Gnoli gli fa notare che secondo chi lo conosce egli sia rimasto molto amareggiato per l’accaduto, in quel preciso istante Cabibbo non esita a puntualizzare che «questa storia dell’amarezza è letteralmente inventata». Eppure resta sempre il fatto che non ha avuto questo riconoscimento, così Gnoli ad un certo punto, in conclusione dell’intervista, domanda se la causa di questo mancato riconoscimento meritocratico non sia forse da ricercarsi nel dato di fatto che il peso internazionale della ricerca scientifica italiana vada via via scemando: ma Cabibbo replica affermando che in verità la ricerca scientifica italiana è molto stimata nel mondo, anche se il futuro è incerto poiché la riduzione dei fondi mette seriamente a repentaglio l’eventualità che, nelle nuove generazioni, si formino giovani capaci di proseguire l’impresa scientifica. Insomma, le ragioni dell’Accademia svedese oscure erano e oscure continuano a rimanere, il movente non è da attribuirsi nemmeno al ruolo svolto dalla ricerca italiana in campo internazionale, perché a detta di Cabibbo pare che essa sia ben vista agli occhi degli scienziati di tutto il mondo! Ma ciò che mi ha colpito particolarmente è l’atteggiamento sereno, quasi di rassegnazione, con cui Cabibbo si pone dinanzi al problema, nel senso che anche se una propria scoperta scientifica suscita incredulità, timore di aver sbagliato e paura che altri abbiano fatto la medesima scoperta al punto tale da pubblicarla per primi, egli con buon gusto e con vena stoica continua a manifestare una serenità d’animo, una fierezza per i propri risultati conseguiti nel campo della fisica teorica, che a mio parere non hanno precedenti nella cultura antropologica scientifica! Perché, si sa, chi non reagirebbe negativamente se ricevesse un simile torto dopo aver investito tante energie a coronare una scoperta scientifica per la quale si sono impiegati anni ed anni di duro lavoro e sacrificio? Ma Cabibbo tace, tace inizialmente e continua a perdurare nel proprio silenzio fino al termine dell’intervista: ed io dall’inizio alla fine della lettura mi chiedo insistentemente “perché”, cerco di comprendere fino in fondo perché il nostro scienziato manifesta una calma così inaudita, una serenità interiore così singolare per quello che gli è successo... Ma, rileggendo ancora una volta l’articolo, i miei occhi si soffermano con particolare attenzione su una frase, «alla fine di tutto questo si prova un’emozione unica», e in quelle parole colgo la vera essenza del suo silenzio e della sua tranquillità: essa risiede in un certo grado di umiltà, sì, perché Cabibbo si rivela uno scienziato umile e modesto, non uno di quelli tanto avidi di gloria e di successo per le proprie res gestae, ma un uomo della scienza così fiero e consapevole di “aver saputo fare scienza”, che adesso, a settantatré anni, poco gli importa se altri si sono presi i suoi benemeriti, perché ciò che conta davvero, nella sua esperienza di fisico teorico, è l’aver saputo dare un input rilevante al progresso sugli studi delle particelle elementari. Sì, perché la fisica delle particelle elementari è per Cabibbo così talmente affascinante che, dinanzi ai suoi misteri, tutto passa in secondo piano: in primis la paura di essersi sbagliati, in secondo luogo il timore che induce a fare a gara per chi pubblica per primo una scoperta scientifica, in terzo luogo il Nobel ed ogni sorta di riconoscimento ufficiale! L’importante è aver maturato la consapevolezza di “aver saputo fare fisica” durante la propria esistenza: ed è proprio per questo che alla fine non si può che provare un’emozione unica. Quando Gnoli, a proposito di fisica delle particelle elementari, domanda «Si può dire che un fisico delle particelle abbia la stessa ambizione di un filosofo antico» di voler giungere alla spiegazione ultima ed elementare del mondo? Cabibbo puntualizza il fatto che il fulcro di questa fisica teorica, più che nella metafisica, va ricercato nell’atomismo democriteo, anche se «la ricerca delle particelle resta qualcosa di più complicato» perché, si sa, le particelle elementari mica sono una scoperta moderna: tutto parte dall’atomismo greco, che pensava con l’atomo di poter spiegare tutto. Ma l’atomo è composto da così tante altre cose che «siamo chini su un mondo sempre più piccolo. Ogni volta che pensiamo di aver toccato il fondo […] ci accorgiamo che qualcosa sfugge». Io credo che sia la complessità dei misteri che avvolge il mondo delle particelle elementari ad occupare il fulcro dei pensieri del nostro caro Cabibbo: la competitività con i suoi “colleghi” e la sete di vanagloria passano in secondo piano perché ci sono cose che nella vita di un fisico teorico, e di uno scienziato in generale, si avvalgono di un valore molto più profondo, un valore che partorisce una sete del sapere tale da indurre l’uomo di scienza a voler dare sempre di più, a voler scavare sempre più a fondo nei misteri che costernano il mondo atomico, a tal punto da accantonare con coscienza ed umiltà ogni forma di ingiustizia capace di perturbare l’animo di uno scienziato, quale può essere per l’appunto il mancato riconoscimento del Nobel.
3.      Il carattere probabilistico della fisica quantistica: l’esempio del “Gatto di Schroedinger”
La mente di Cabibbo, dunque, è focalizzata su tematiche scientifiche estremamente più complesse: egli vorrebbe tanto che la scienza non peccasse di “incompletezza”, perché essa certamente non è aspirazione del progresso, ma purtroppo la scienza «resta incompleta perché la natura è molto più complicata di quanto riusciamo a immaginare e a sperimentare». Il pensiero di Cabibbo è interamente imperniato sul carattere probabilistico della fisica quantistica, la quale nulla ha a che vedere con la fisica classica o meccanicistica, basti pensare che, nell’enfatizzare le differenze fondamentali esistenti fra scienza classica e scienza moderna, lo scienziato afferma: «Non siamo in grado di predire esattamente cosa avviene in un fenomeno quantistico, possiamo solo dire qual è la probabilità che accada questo o quello. […] Per lungo tempo gli scienziati sono restati affezionati all’idea di […] un mondo pensato come un orologio. Poi hanno dovuto scoprire che non è così. La quantistica è interessante anche perché è piena di misteri. Noi pensiamo che la probabilità che un fenomeno si realizzi […] dipenda dal fatto che prenda una strada piuttosto che un’altra. In realtà nel pluriuniverso le segue tutte e due. La meccanica quantistica serve anche a comprendere l’esistenza di molti universi e il fatto che noi percepiamo una sola delle due possibili storie». Allorchè Gnoli sottolinea il carattere affascinante di tale discorso, egli non esita a chiedere allo scienziato di riportare un qualche esempio pragmatico, che si rifaccia alla realtà quotidiana: così, quando Gnoli afferma che, sebbene l’uomo è in grado di percepire una sola direzione di questa straordinaria “biforcazione esistenziale”, probabilmente, in circostanze diverse, avremmo potuto percepire anche altre strade, Cabibbo, con l’acume di chi come lui è un lettore appassionato di fantascienza, ci riporta l’esempio emblematico del “Gatto di Schroedinger”: «Immaginiamo un gatto chiuso in una scatola contenente una fiala di veleno. La provetta si apre solo se, in un certo momento, un nucleo si disintegra. La meccanica quantistica ci dice che esiste più di una diramazione della storia. In una la fiala si rompe il veleno si sparge e il gatto muore. Nell’altra la fiala resta integra e il gatto vive». La metafora che si cela dietro questo messaggio emblematico costituisce, a mio avviso, il passo di più ardua comprensione dell’intero articolo: non nego, infatti, che inizialmente ad una prima lettura non sono riuscita a cogliere l’essenza delle parole di Cabibbo; a primo acchito sono rimasta molto scettica e incredula perché, avendo sempre ragionato da comune mortale a “senso unico”, non riuscivo a capire come fosse possibile ammettere l’esistenza di un cosiddetto «pluriuniverso» in cui gli eventi, anziché scegliere se seguire una strada piuttosto che un’altra, in realtà le percorrono entrambe, così come è altrettanto difficile accettare il fatto che noi possiamo percepire, di uno stesso evento, solo una delle due direzioni che percorre. Quando al liceo studiavo filosofia, ma anche geografia astronomica, avevo già sentito parlare di “molteplicità dei mondi”, avevo già ben impressa nella mente la concezione secondo cui, con molta probabilità, la Terra potrebbe non essere l’unico pianeta dell’universo su cui esiste la vita, così come avevo pure maturato la consapevolezza che potrebbe esistere non un solo universo, non soltanto il nostro universo, bensì molteplici e molteplici universi, ciascuno con una propria storia, ciascuno con una propria successione autonoma degli eventi. Però, per quanto mi sia sempre piaciuto approfondire aspetti misteriosi sulla vita, non avevo mai preso in considerazione l’ipotesi che ogni evento potesse essere caratterizzato da una certa bidimensionalità e che pertanto potesse seguire, in un fatidico pluriuniverso, sia una strada che un’altra. Quello che avvolge la fisica quantistica è un alone di mistero che ha conquistato in toto l’attenzione del nostro Cabibbo: le sue meditazioni su un argomento scientifico così complesso e delicato da comprendere, conferiscono alla parola mistero un’accezione semantica ancora più impegnativa di quella che comunemente le si attribuirebbe, tanto da far «pensare anche alla nascita della fede», – come sottolinea, del resto, lo stesso Gnoli – ma dinanzi a questa osservazione Cabibbo risponde sottolineando che è necessario tenere separati i misteri della fede da quelli della meccanica quantistica: ebbene sì, perché, come tutti ormai dovremmo aver appreso, secondo Cabibbo Dio è una cosa e la scienza è un’altra, allo stesso modo in cui dovremmo pure prendere atto del fatto che «Dio non entra nella scienza» sebbene l’etica ne sia coinvolta.
4.      Riflessioni sul delicato rapporto fra scienza ed etica
Quando Gnoli domanda allo scienziato di esprimere un’opinione personale sul delicato rapporto che oggigiorno esiste fra scienza ed etica, Cabibbo non esita ad enfatizzare quelli che egli ritiene i due aspetti classici: da una parte l’etica della ricerca, un’etica della verità che, in quanto tale, è volta a non mentire né tantomeno falsificare i risultati della scienza; d’altro canto un aspetto più delicato che concerne il campo della medicina, dove «le cose sono più complicate perché l’uso della sperimentazione sull’uomo» apre un dibattito senza precedenti nella storia antropologica di tutti i tempi. L’intervista si chiude con una riflessione su una delle tematiche più ricorrenti nel pensiero bioetico odierno, ovvero l’eutanasia: a tal proposito Cabibbo, dopo aver premesso di non essere esperto di simili problematiche, confessa che l’eutanasia costituisce «un’ulteriore questione che ha poco a che fare con la scienza», anche se non si può non tenere conto del fatto che le nuove scoperte scientifico –tecnologiche innescano una serie di problemi da non sottovalutare, né dal punto di vista medico –sanitario né sotto il profilo più prettamente etico. Il semplice «respiratore artificiale» – prosegue Cabibbo – «ha salvato tantissime vite e permesso operazioni chirurgiche complesse. Ma ha anche creato fenomeni di coma esteso. Mi vengono in mente gli episodi del senatore Andreatta e il caso della ragazza Eluana Englaro». L’evoluzione delle conoscenze teoriche e delle possibilità tecnologiche nel campo della scienza ha sollevato problemi che non hanno precedenti nella storia dell’umanità. Sebbene la rivoluzione scientifico –tecnologica dell’era moderna ha permesso all’uomo di modificare radicalmente la natura che lo circonda, tuttavia non ci si deve meravigliare del fatto che essa porti con sé grandi attese e timori, ed è verosimile che queste attese e questi timori si incrementeranno ulteriormente quanto più tra l’opinione pubblica avanzerà la percezione di quanto le nuove conoscenze scientifiche possono influire negativamente sulla vita dell’uomo. Da parte di coloro che aderiscono ad una visione religiosa della natura e dell’uomo, viene spesso rimproverato ai laici di non avere principi morali che non siano una acritica adesione alla scienza e ai suoi progressi: viene rimproverato loro di non avere altri principi al di fuori dei fatti. La società nella quale viviamo è una società complessa, in cui convivono visioni diverse dell’uomo e della morale: pertanto è impossibile pensare che in un campo come quello della bioetica, che tocca le concezioni e i sentimenti più profondi dell’uomo, possa esistere un canone morale a vocazione universale. In altre parole, io ritengo che scienza ed etica debbano trovare un punto d’incontro, o meglio stabilire un certo equilibrio, perché oggi più che mai, parafrasando le parole che mi disse ai tempi del liceo il mio insegnate di religione cattolica, sono fermamente convinta che «una Scienza senza Coscienza è una Scienza impazzita, una Coscienza senza Scienza è una Coscienza cieca», laddove per “coscienza” intendo propriamente l’insieme dei valori etici che debbano porsi a fondamento della rettitudine umana.

 Selene Borrelli 

 

 

domenica 23 dicembre 2012

CONSIDERAZIONI. ORIENTAMENTI BIOETICI SULL'IMPIEGO DELLE BIOTECNOLOGIE.

Leggendo le prime pagine dell'articolo è emersa, a mio parere, un'immagine molto dettagliata di quelli che sono i problemi della scienza oggi. Le biotecnologie partecipano sicuramente allo sviluppo di una nuova concezione del vivente e di tutto ciò che lo circonda.Il trafiletto, inoltre, parla della promozione dell'equità; tutti devono avare pari diritti e pari doveri nei confronti del nostro ecosistema. L'uomo ha bisogno di due "fattori" per vivere: cibo e salute. L'articolo mette in risalto quest'ultimo aspetto dicendo che ai due bisogni (nutrizione e salute) va riconosciuta una priorità etica ed una pratica assoluta. Per garantire i benefici per la salute derivanti dalle biotecnologie in campo sanitario è inevitabile l'impegno dello stato al fine di garantire una ricerca pubblica,  vi è però il bisogno di unire la ricerca privata con quella pubblica. Secondo il mio parere collaborazione vuol dire fonte di sapere maggiore, di conseguenza una ricerca scientifica sempre più efficace.. Un altro punto dell'articolo è indirizzare l'uomo ad avere maggiore responsabilità verso l'altro.Nella nostra società si avverte il vero bisogno di conoscere cosa è giusto e cosa è sbagliato nei confronti dell'altro. Viviamo in una comunità dove ognuno pensa ai propri interessi senza avere il bisogno di fermarsi a riflettere. Noi dobbiamo essere in grado di non danneggiare la vita di un altro uomo. Sono assolutamente d'accordo sul fatto che nella vita nulla si ripete necessariamente allo stesso modo, tutto può influenzare il risultato. L'animale umano deve essere prudente nel compiere determinate azioni, bisogna adottare comportamenti responsabili verso ciò che è ALTRO. Questo altro può essere , ad esempio, l'ambiente. Rispettare la natura deve essere uno dei nostri tanti impegni quotidiani. La natura si ammala a causa dell'inquinamento che l'uomo produce e contemporaneamente è l'uomo stesso ad ammalarsi attraverso quello che egli stesso crea.Si deve  evitare una crisi ecologica planetaria. Non dobbiamo solo parlare, abbiamo l'obbligo di rispettare la natura.Ho trovato una corrispondenza inaspettata tra l'articolo 9 citato da R.Benigni durante una serata dedicata alla Costituzione e l'articolo sulle biotecnologie. Benigni ha trasmesso una visione meravigliosamente bella della nostra Costituzione. L'articolo 9 riporta :"La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione". Benigni parla di un paesaggio artistico, storico, AMBIENTALE di cui noi tutti facciamo parte. Evoca le necessità di PRESERVARE questo territorio. Non possediamo il diritto di distruggere i paesaggi alle generazioni future oppure la facoltà di inquinare l'aria che respireranno i nostri figli. Dobbiamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi la possibilità di usufruire di un bene che prima è stato nostro: L'AMBIENTE NATURALE. Le prime righe di questo articolo le ho trovate davvero interessanti e chiare. Articoli di questo genere andrebbero divulgati molto più spesso in particolare a coloro che fanno del male all'ambiente e all'uomo stesso.

martedì 18 dicembre 2012

Scrivo solo ora perché ho avuto qualche problema nel capire come si pubblicassero le nostre riflessioni.In aula stiamo affrontando diverse tematiche che riguardano noi giovani sempre più da vicino. Vorrei partire da un'esperienza che mi è capitata giorni fa... Mi trovavo nella sala d'attesa di un ospedale; a pochi passi da me vidi una vetrata ;dietro di essa vidi dei visini dallo sguardo penetrante, osservai in quegli occhi il desiderio di gridare la voglia di vivere e allo stesso tempo la consapevolezza di ciò che  stava  loro accadendo, di ciò a cui sarebbero andati incontro. Una vita priva di giochi all'aria aperta, di un contatto con altri migliaia di bambini al di fuori di quella maledettissima e cupa stanza. Questi bambini erano malati di leucemia!!!!!!!!!Dall'altra parte, invece, entrò una donna con in grembo un bimbo. Vidi non le due ma le tre facce della vita nell'arco di 1omin. Queste facce erano : la vita, la morte, la malattia .Pensai al perchè di tutto questo , perchè mai si deve levare ad un bambino così piccolo la gioia di vivere, la gioia di diventare adulto di "assaporare" i lati belli della vita. Un bimbo di soli quattro, cinque anni destinato al 90% dei casi a morire. Perchè la ricerca non riesce ad andare avanti? Perchè è tanto difficile poter aiutare chi è malato?Perchè gli è impedito VIVERE!!! Cos'è quel qualcosa che  dà la vita e allo stesso tempo può toglierla. Cos'è la vita?!?Chi lo sa, noi ci siamo ma forse non dovremmo esserci; atomi , molecole, scienza, religione nessuna di queste cose ancora riesce a darci una risposta. Tutto questo, cosa certa , deriva dalla natura. Lei è e non è allo stesso tempo buona e cattiva, affabile e fredda, affascinante e ripugnante . Bisogna anche ammettere che è l'uomo che distrugge la natura ;prima  la contamina dopo la disprezza.  E' fatto certo ormai che la natura sicuramente è qualcosa più grande di noi, c'è anche se non si vede nella sua grandezza. Ma forse perchè è l'uomo stesso che non riesce a guardare oltre. Mi è piaciuto molto un esempio fatto dal nostro prof. a lezione a riguardo della natura egli disse a noi studenti di mettere un dito davanti il nostro naso e ci chiese cosa riuscivamo a vedere, la risposta è semplice: nulla o meglio un qualcosa di molto sfuocato. Allo stesso modo la natura che come già detto c'è ma non si vede .La natura è dentro ognuno di noi, è nell'H2O che beviamo, nella CO2 che respiriamo, nelle bellezze che noi ammiriamo .La "superiorità" dell'uomo spesso non vuole andare oltre quel dito.  Vede solo quello fa comodo ,l'uomo "ammira" solo ciò che  piace vedere. Credo che questo grande dubbio rimarrà ancora per molto tempo irrisolto. Noi futuri ricercatori forse prima o poi riusciremo a risolvere il grande quesito dell'esistenza. La scienza però deve in tutti i modi dare a tutti  noi un contributo per aiutare tutti quei visini che hanno bisogno della scienza per vivere. La scienza non deve pensare solo al proprio profitto bensì la scienza DEVE assolutamente essere un bene per tutti gli uomini. La scienza ha il compito di trovare i dispositivi adatti per l’uomo e non deve assolutamente badare all’interesse personale ed economico. Perché il compito di noi futuri ricercatori ,a mio parere, è vedere la ricerca come una missione verso coloro che hanno bisogno di noi. Perché potremmo essere proprio noi stessi ad aver bisogno della scienza stessa .Infine , penso sia molto importante ogni tanto riflettere su ciò che abbiamo intorno perché  giusta o sbagliata che sia noi dobbiamo lottare sempre per la VITA.

domenica 16 dicembre 2012

VACCINO CONTRO IL TUMORE, PRIVATO O PUBBLICO?

Oggi al telegiornale è stata trasmessa un'intervista rivolta ad una ricercatrice universitaria dell'ospedale Umberto I di Roma, la quale ha sperimentato "VACCINO PERSONALIZZATO" contro il tumore, la
 cosa strabiliante è proprio questo termine "personalizzato" poichè racchiude l'originalità e la specificità di questo vaccino che consiste: nel prelevare le cellule tumorali del singolo paziente osservarle in toto e su questa base produrne il vaccino singolarmente. Tutto ciò dall'Azienda Sanitaria Nazionale non è stata ancora finanziato e ne reso disponibile, anche se in campo scientifico, da quanto affermato dalla dottoressa, è efficace poichè da esperimenti effettuati ha già dato i primi risultati positivi. Inoltre quello che è davvero importante in tutto ciò, sta in una domanda volta alla dottoressa dal giornalista, ovvero: << Lei ritiene opportuno che questo vaccino sia reso pubblico o privato? >>, la quale ha risposto: << Io vengo dalla ricerca di base dunque ritengo opportuno che sia reso pubblico>>.
Questo vaccino è già presente in America e Germania al costo di 50.000,00 € a somministrazione. Perchè non renderlo pubblico in questi paesi?
Il tumore è un male ormai dilagante, colpisce ricchi e poveri, di conseguenza non può essere imposta una privatizzazione su un qualcosa che potrà salvare migliaia di persone.
In Italia, ripeto, non può essere ancora somministrato, ma spero soltanto che quando lo sarà non venga privatizzato.
Cosa ne pensate a riguardo?

sabato 15 dicembre 2012

" In campi diversi si procede fin dove gli altri sono giunti e non resta molto da indagare, ma nella ricerca scientifica lo spazio per nuove scoperte di cui meravigliarsi è illimitato. " Frankestein. Volevo condividere con voi questa frase che mi ha colpito durante la lettura del libro. E' questo uno deo motivi per i quali ho deciso di intraprendere questa strada, come in una reazione chimica i prodotti di una reazione possono diventare reagenti di un'altra reazione, cosi nella ricerca scientifica alcune scoperte possono diventare la base per nuove ricerche e nuove scoperte.

giovedì 13 dicembre 2012

la frode uccide la speranza


ciao a tutti..Rifletto ancora sulle cose che abbiamo detto riguardo all'articolo di Elena Dusi...anche se può sembrare strano, sono sempre stata abituata a vedere il lato positivo in ogni cosa.. beh.. nella frode, nell'ingannare l'altro, c’è poco di positivo... ricercando il significato del termine FRODE ho trovato: “comportamento in genere consistente di artifici o raggiri finalizzati al conseguimento di illeciti profitti”. E mai come adesso molte persone cercano ad ogni costo di ottenere profitti da qualsiasi attività sia essa illecita o non illecita. Ma che gusto c’è, a cosa giova ottenere qualcosa quando a rimetterci è proprio la persona a cui l’abbiamo tolta???? Probabilmente il messaggio che volevo condividere con voi non è stato da me ben spiegato.. in aula non intendevo dire che se a frodare è un pizzaiolo allora è un comportamento giustificabile. La frode, per quanto mi riguarda, NON è un comportamento giustificabile, ma ammettiamolo ragazzi se a frodare è un uomo di ricerca, le conseguenze di questa frode sono ben più pesanti rispetto ad altre..  poniamo il caso che una persona vicino a voi abbia contratto un male incurabile … E poniamo il caso che arrivi alle vostre orecchie notizie di un ricercatore che ha brevettato una cura che riesce a bloccare o comunque a rallentare il progredire della malattia. La prima cosa che pensereste sarebbe : “ che bello, forse c’è SPERANZA di VITA per questa persona che tanto amo” e così investite le vostre energie ed i vostri sforzi in questo ultimo tentativo. Come vi sentireste, ma soprattutto come si sentirebbe la vostra persona  cara, nel sapere che quell’uomo, quell’uomo di scienza, invece di aiutarla a vivere l’ha aiutata a morire??? Ad UCCIDERE LA SPERANZA che lo aiutava ad andare avanti?? Beh questi comportamenti non hanno giustificazioni … non esiste cifra in denaro che equivalga ad una VITA.. per quanto una persona possa trovarsi in difficoltà o per quanto possa essere ambiziosa e desiderosa di fama non vi è cosa peggiore che giocare con la vita nel suo significato più intrinseco e soprattutto con quella degli altri. Una volta ho visto un film ambientato nella Germania della II guerra mondiale, in cui un uomo apparentemente alleato con i tedeschi decide di aiutare tanti ebrei.. alla fine questi lo ringraziarono dedicandogli, su un anello, una frase che per me è importante: CHI SALVA UNA VITA SALVA IL MONDO INTERO.. beh io questa frase la applico, purtroppo, anche nel senso opposto e cioè : CHI DISTRUGGE UNA VITA, DISTRUGGE IL MONDO INTERO perchè Una persona che froda, non inganna od uccide una sola persona ma inganna ed uccide tutte quelle persone piene di speranza che, come me, credono che la felicità si possa raggiungere non a scapito degli altri..!!!!  spero che adesso il mio messaggio sia stato più comprensibile.. e confido anche in qualche vostro commento!                                   

mercoledì 12 dicembre 2012

Compiti per le vacanze


Elena Mancini (a cura di), Considerazioni etiche e giuridiche sull'impiego delle biotecnologie, 30 Novembre 2001
Comitatato Nazionale di Bioetica - Presidenza del Consiglio dei Ministri
Leggere la parte del testo dedicata a: "Orientamenti bioetici sull'impiego delle Biotecnologie" pp. 19-31. Link:

www.governo.it/bioetica/pdf/50.pdf

e:


Antonio Gnoli, "Cabibbo la scienza e il gatto"in «La Repubblica»,  23 ottobre 2008






domenica 9 dicembre 2012

Condizionamento di massa? Cosa di più aberrante se razionalizzato a processo biologico.

"<< Più bassa è la casta meno ossigeno si dà>>disse Foster.<<Il primo organo a risentirne è il cervello.Poi lo scheletro. Col settanta per cento dell'ossigeno normale si hanno dei nani. A meno di settanta, si ottengono dei mostri privi di occhi.>>
<<Che sono completamente inutili>> [...]
<<se si arrivasse a scoprire una tecnica per ridurre il periodo di maturazione, che trionfo, che beneficio per la Società!
<<Considerate il cavallo per esempio>> Essi lo considerarono.
Maturo a sei anni; l'elefante a dieci. Mentre a tredici anni un uomo non è ancora sessualmente maturo; ed è adulto solo a vent'anni. Da ciò deriva, naturalmente, il frutto dello sviluppo ritardato: l'umana intelligenza.
<<Ma nel tipo Epsilon>>disse molto giustamente Foster<<non c'è bisogno di umana intelligenza. Non ve n'è bisogno e non se n'ottiene.Ma benché la mente Epsilon sia matura a dieci anni, il corpo Epsilon non è atto al lavoro fino ai diciotto. Lunghi anni di superflua e sprecata immaturità. Se si potesse affrettare lo sviluppo fisico fino a renderlo rapido come quello di una vacca, per esempio, che enorme risparmio per la Comunità!>>
<<Enorme!>>mormorarono gli studenti. L'entusiasmo di Foster era contagioso.
Egli si ingolfò in spiegazioni tecniche; parlò dell'anormale coordinazione degli endocrini che fa sì che gli uomini crescano tanto lentamente; ammise, per spiegarla, una mutazione germinale. Si possono distruggere gli effetti di questa mutazione germinale? Si può, per mezzo di una tecnica adatta, far tornare ogni embrione Epsilon alla normalità, rappresentata dai cani e dalle vacche? Questo era il problema. E mancava poco a risorverlo. Pilkington, a Mombasa, aveva prodotto degli individui che erano sessualmente maturi a quattro anni e adulti a sei anni e mezzo. Un vero trionfo scientifico. Ma inutile dal punto di vista sociale. Degli uomini e delle donne di sei anni e mezzo erano troppo stupidi per compiere un lavoro da Epsilon. Inoltre il processo era del tipo 'tutto per tutto': non si riusciva a modificare nulla, oppure si modificava completamente. Si stava ancora cercando il compromesso ideale tra gli adulti di vent'anni e quelli di sei. Finora senza successo. Foster sospirò e scosse il capo.[...]
<< La preparazione al calore>>disse Foster. Gallerie calde si alternavano con gallerie fresche. La frescura era indissolubilmente unita al disagio, sotto forma di Raggi X non attenuati. Quando giungeva il momento del travasamento, gli embrioni avevano un vero orrore per il freddo. Erano predestinati ad emigrare ai tropici, ad essere minatori e filatori di seta all'acetato e operai metallurgici. Più tardi si farebbe in modo che la loro mente confermasse il giudizio del loro corpo. <<Noi li mettiamo nella condizione di star bene al caldo;>> concluse Foster <<i nostri colleghi di sopra insegneranno loro ad amarlo.>>
<<E questo,>> aggiunse il Direttore sentenziosamente <<questo è il segreto della felicità e della virtù: amare ciò che si deve amare. Ogni condizionamento mira a ciò: fare in modo che la gente ami la sua inevitabile destinazione sociale.>>" 
(Aldous Huxley " Il mondo nuovo/Ritorno al mondo nuovo")

Vi propongo questo testo per riflettere sugli effetti di un estremizzazione dei poteri della cultura scientifica : vivere in un mondo di burattini uniformati e plagiati, in modo che nessuno si ribelli per il mantenimento dell'ordine e della stabilità sociale e in nome del mero progresso. Lo stesso concetto di felicità cambia in nome della produzione maggiore. Per non avere cambiamenti e ribellioni, fin da bambini tutti questi "uomini" (o meglio macchine del nuovo mondo ) vengono sottoposti a  sorte di torture immorali, che li portano a convincersi che quello che il sistema dice è giusto, che li convince della felicità della loro posizione, di quanto sono fortunati nella loro società. Mi ha scioccato il fatto che ai bambini delle classe inferiori viene inculcata l'idea dell'inutilità dei libri, associando scosse, ogni qual volta vengono a loro proposti .Un panorama abbastanza macabro e cinico, che li spinge a diventare macchine senza sentimenti, non più esseri viventi. I sentimenti vengono infatti considerati negativi in questo mondo futuro. In questo modo si perde il vero concetto di vita e di uomo. Ora mi chiedo: siamo pronti a questo uragano di cambiamenti, ed abbastanza maturi per dare un limite alla nostra brama di perfezione ai fini produttivi? Discerne molto la nostra realtà da quella di Huxley? Secondo me, a livello di pensiero siamo in parte protesi a questa realtà perchè siamo uomini ed è nella nostra natura egoistica soffocare l'altro per la brama del successo .In passato non si è disdegnato un simile trattamento crudo verso la specie umana . Bisogna educare gli uomini affinchè vi sia un limite da non varcare.

Giusy Famà


mercoledì 5 dicembre 2012

Ricerca pubblica e/o ricerca privata

Forse sono un pò in ritardo per quanto riguarda questo argomento, ma ci tenevo comunque a esprimere la mia opinione.
Credo che nella società odierna il ruolo che occupa la scienza sia decisamente sottovalutato e addirittura influenzato dalla concezione che pone la ricerca come strumento di concorrenza economica.
Probabilmente è vero! Il concetto di "ricerca per la ricerca" sta via via affievolendosi fino a diventare qualcosa di astratto, qualcosa di difficilmente raggiungibile. Ormai si parla (e si vive) solo di "profitto per il profitto".
Sempre più interessata all'argomento, ho fatto delle ricerche per cercare di capire meglio come funziona questo meccanismo di (concedetemi il termine) "autodistruzione del sapere" e uno studio condotto dall'ONU mi ha aperto la mente. Vi riporto le parole che più mi hanno colpito e mi hanno fatto riflettere:
<< La ricerca scientifica è sempre più mirata alla ricerca del profitto che alla soluzione dei problemi fondamentali per l'umanità: soltanto il 10% delle spese di ricerca sono dedicati ad affrontare il 90% dei problemi urgenti al mondo>>
Come si può notare tutto ruota intorno alla parola profitto.
Ma la ricerca è prima di tutto conoscenza, è sapere. Ed è proprio per questo che credo che il problema non si limiti solo alla questione pubblico/privato, ma risiede nella concezione che si ha riguardo la ricerca in sé.
In altre parole, più che interrogarsi su cosa sia meglio tra ricerca pubblica e ricerca privata, si dovrebbe innanzitutto arrivare ad un compromesso tra le due cose e poi, soprattutto, si dovrebbe puntare l'attenzione su quelle persone che ancora credono in ciò che fanno.
In effetti, sono fermamente convinta che in una società quasi esclusivamente votata al guadagno economico, ci siano comunque persone che vivono per la ricerca e mettono le loro conoscenze a disposizione di tutti.