Si è sempre pensato che Scienza e Chiesa non possano convivere ma ciò non è del tutto esatto: non è necessario credere o mettere in risalto il fatto che alla base di tutto, alle spalle del mondo che noi conosciamo ci sia “un maitre”, come lo definisce Gnoli. Lo scienziato non è alla costante ricerca della prova che Dio non esista, bensì studia l’evoluzione del mondo e dell’intero universo, studia la sua base, l’atomo, cerca di prevedere l’evolversi della materia o si limita ad osservare i cambiamenti e a descriverli. Per questo motivo la Chiesa non può rinnegare la Scienza come tale, in quanto sarebbe come negare l’evidenza dei fatti, sarebbe come non accettare l’oggettiva evoluzione del mondo. “Lo stesso Giovanni Paolo II a suo tempo ne riconobbe la fondatezza”. Nonostante ciò, ancora oggi c’è sempre qualcuno pronto a diffidare delle nuove scoperte, ma ci si sbaglia a pensare che questi soggetti siano solo i cattolici o gli alti esponenti della Chiesa e il fatto che al suo interno vi sia una vera e propria Accademia della Scienza, di cui lo stesso Cabibbo è presidente, dovrebbe far pensare. Io sono d’accordo col pensiero di questo noto fisico delle particelle: Scienza e Fede Religiosa vanno messe su due piani diversi. Essere scienziato non vuol dire non credere in Dio, Cabibbo stesso è un uomo credente ma ciò non lo condiziona nelle sue ricerche. Scienza e Fede sono due cose diverse e l’una non esclude l’altra. Giustificare la propria miscredenza con la fiducia nella scienza è un po’ improprio. Nell’ articolo però si possono trovare tantissimi altri spunti di riflessione come l’atteggiamento di uno scienziato di fronte alla propria scoperta, le differenze tra le varie scienze,il rapporto scienza-etica. A tal proposito Cabibbo menziona quella di cui abbiamo tanto parlato a lezione: l’etica della ricerca. Egli ha ben settantatrè anni (nel 2008 al rilascio dell’intervista), con anni di esperienza alle spalle, anni di ricerche, numerose scoperte a cui deve la sua enorme fama, ormai non si lascia scoraggiare nemmeno dalla perdita del rinomato premio Nobel, assegnato a scienziati giapponesi che hanno messo in pratica la sua ricerca originaria; la sua è una ricerca per la ricerca, egli è soddisfatto delle sue scoperte e non parla di ingiustizia, non sputa sentenze, bensì rimane tranquillo, sereno. E’ normale per lui parlare dell’etica della ricerca come l’etica della verità: gli scienziati in quanto tali non dovrebbero falsare o addirittura inventare risultati di ricerca e renderli pubblici. Alla comunità non servono storielle a cui credere come la presunta cura per il cancro ai polmoni di cui si è parlato nell’ articolo della Dusi, bensì di fatti, di fatti VERI e concreti che proprio lo scienziato con la sua conoscenza dovrebbe offrirle. Ma di questo ne abbiamo parlato abbastanza. L’ultimo spunto riguarda l’eutanasia, ma aspetto a darne un mio giudizio.
Francesca Martucci
Di grande risonanza l' intervista pubblicata sulla Repubblica. Io, pero', vorrei porre l accento su un tratto specifico del discorso stesso. Il punto in cui, lo stesso Cabibbo, afferma che la Scienza si fonde sull' incompletezza. "La natura è molto più complicata di quanto riusciamo a immaginare e a sperimentare" e cio' si riconduce al discorso intrapreso durante le nostre lezioni. La Natura è sempre più grande degli individui che crea, ed è sempre ad un passo davanti a noi. Al suo interno coesistono gli opposti: la stasi e il movimento, l' unità e la pluralità. Ecco perchè l' uomo vive un rapporto ambivalente nei confronti della Natura: da una parte un forte senso di tracotanza e voglia di prevaricazione, dall' altra parte un immenso rispetto e un profondo senso di stupore e meraviglia. Nonostante cio' l' uomo non puo' vivere senza il mondo esterno, "senza respirare aria", ed è per questo motivo che la dipendenza costitutiva che non ci permette di sganciarci dal mondo ambiente viene indicata dai filosofi con il termine "eteronomia": qualcosa che ci regola dall' esterno ma che al contempo puo' sussistere indipendentemente da noi.
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