[cit. Emanuele Severino]
Mi ha colpito molto questa citazione che ho trovato sul libro di G. Fornero "Bioetica cattolica e bioetica laica" e, girovagando un po' su internet, sono riuscita a trovare un'intervista fatta al filosofo Severino pubblicata nel dicembre 2006 sul "Corriere della sera".
«Morire senza soffrire è un diritto, lo Stato faccia il suo mestiere»
Mangiarotti Alessandra (5
dicembre, 2006) Corriere della Sera
MILANO - Il filosofo Emanuele Severino si pone «al di là degli
amici o nemici di Dio». Rivendica «pari dignità di discussione tra un caso che
interessa un unico uomo immobile in un letto e i più grandi massacri che vive
oggi l'umanità». Quindi si guarda dentro, e dice: «Se avessi un amico che
soffre come Piergiorgio Welby, un amico del quale ho capito fino in fondo il
profondo desiderio di lasciare questo mondo, io lo aiuterei a staccare la spina. Cercando di non incorrere nelle sanzioni
previste dalla legge, ma lo farei». Primo: «Perché c' è una contraddizione
scandalosa nella nostra legge: tratta in modo diverso chi, avendone la capacità
fisica, può darsi la morte e chi invece, pur desiderandolo intensamente, non
può farlo». Secondo: «Perché riconoscere a un uomo il diritto di
morire senza soffrire oltre un certo limite, è rispettare la sua dignità». Professore, lei
dunque sottoscrive l'appello di Welby al presidente della Repubblica
Napolitano? «Io parto da un presupposto: se il signor Welby fosse in grado di
staccare i fili delle macchine che lo tengono in vita e di lasciare questo
mondo senza soffrire ulteriormente, probabilmente l'avrebbe già fatto». Si
sarebbe suicidato senza che il mondo se ne accorgesse? «Un tempo in molte legislazioni il suicidio era considerato un reato.
Chi cercava di togliersi la vita e falliva nel suo intento, era perseguito
penalmente. Almeno su questa terra, direbbe qualcuno. Oggi non è più così,
anche in Italia: il suicida mancato non è riconosciuto giuridicamente
colpevole». Da qui la contraddizione. «E' come tra il "sì" all' aborto e
il "no" alle cellule staminali embrionali: "si" a chi cerca
di suicidarsi, "no" a chi chiede di essere aiutato a morire perché da
solo non ce la fa. La nostra legge tratta in modo diverso i disgraziati che non hanno la forza o le braccia per lasciare questa vita».
Una contraddizione soltanto giuridica? «Queste contraddizioni sono dovute al
fatto che siamo in Italia e che qui i principi della Chiesa cattolica hanno un
peso che altrove non hanno. La Chiesa non può che essere un'istituzione di
carattere politico. Indubbiamente la sua intenzione è quella di rispettare la
laicità dello Stato, ma oggettivamente ha una vocazione teocratica. E in
questo, sia chiaro, la Chiesa fa il suo mestiere. Spetta poi allo Stato fare il
suo». Vale a dire? «Votare la legge più democratica possibile. E' giusto il
discorso cattolico: se una maggioranza cattolica vota una legge che va bene
alla Chiesa, non c' è nulla da dire sulla liceità di questa legge. Rispetta le regole
della maggioranza e quindi della democrazia. Se non che la democraticità di una
legge è quantificabile. E io penso che su argomenti su cui c' è discussione -
dall'eutanasia all' aborto, dal divorzio alla fecondazione assistita - la legge
più democratica è quella che permette a ognuno di agire come crede». Dunque il
rispetto del volere di ciascuno deve avere più peso del voto di una
maggioranza? «Anche se la minoranza è rappresentata da un solo uomo. Non dico che la
democrazia è verità assoluta. Ho grande stima di Luigi Einaudi, Einaudi che diceva che la democrazia è un mito.
Ma in questo contesto io preferisco le regole della democrazia. E più
democratica è una legge che tiene conto (sottolineo, su questi temi) di
quello che il singolo vuole». Dunque il suo «sì» va dal caso Welby al
testamento biologico, dall' eutanasia al suicidio assistito? «Io
sono per la libertà di scelta. Sono convinto che già oggi, se entro in
un ospedale e chiedo di non essere oggetto di accanimento terapeutico, trovo
ascolto. Certo, se non ho questa fortuna ma le gambe mi funzionano, me ne vado
altrove. La tragedia è quando le gambe non mi funzionano». Partiamo
dall'eutanasia. «Se viene appurato che una persona ha questa volontà, la volontà di morire
senza soffrire oltre un certo limite, la legge deve riconoscerle il diritto a
lasciare questo mondo. Dignitosamente. Senza nascondersi. Tanto più che spesso
basta solo l' astensione da un certo tipo di azioni e un aiuto a non soffrire».
E il suicidio assistito? «Tra eutanasia e suicidio assistito non vedo una
differenza sostanziale. In un caso come nell'altro
se un individuo esprime il desiderio di
morire deve poter contare su una struttura pubblica che lo aiuti a raggiungere
il suo intento». Una priorità su tutte che si sente di indicare al governo?
«Cancellare le contraddizioni presenti nella nostra legislazione, la soluzione
la lascio agli esperti. Se poi la classe
politica chiamata a decidere è legata alla Chiesa al punto da non riuscire a
prendere una decisione, è finito tutto. Anche l' autonomia dello Stato,
riconosciuta dalla stessa Chiesa».
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