JWG

Ein Lehrer, der das Gefühl an einer einzigen guten Tat, an einem einzigen guten Gedicht erwecken kann, leistet mehr als einer, der uns ganze Reihen untergeordneter Naturbildungen der Gestalt und dem Namen nach überliefert. J.W.G.

lunedì 28 gennaio 2013

Aborto vs Eutanasia

"Una società che predispone i mezzi perchè una donna impedisca la nascita di un altro essere, dovrebbe, a maggior ragione, predisporre i mezzi che consentano di morire a chi, desiderando la morte, non può darsela."
[cit. Emanuele Severino]

Mi ha colpito molto questa citazione che ho trovato sul libro di G. Fornero "Bioetica cattolica e bioetica laica" e, girovagando un po' su internet, sono riuscita a trovare un'intervista fatta al filosofo Severino pubblicata nel dicembre 2006 sul "Corriere della sera".

«Morire senza soffrire è un diritto, lo Stato faccia il suo mestiere»


Mangiarotti Alessandra  (5 dicembre, 2006) Corriere della Sera

MILANO - Il filosofo Emanuele Severino si pone «al di là degli amici o nemici di Dio». Rivendica «pari dignità di discussione tra un caso che interessa un unico uomo immobile in un letto e i più grandi massacri che vive oggi l'umanità». Quindi si guarda dentro, e dice: «Se avessi un amico che soffre come Piergiorgio Welby, un amico del quale ho capito fino in fondo il profondo desiderio di lasciare questo mondo, io lo aiuterei a staccare la spina.  Cercando di non incorrere nelle sanzioni previste dalla legge, ma lo farei». Primo: «Perché c' è una contraddizione scandalosa nella nostra legge: tratta in modo diverso chi, avendone la capacità fisica, può darsi la morte e chi invece, pur desiderandolo intensamente, non può farlo». Secondo: «Perché riconoscere a un uomo il diritto di morire senza soffrire oltre un certo limite, è rispettare  la sua dignità». Professore, lei dunque sottoscrive l'appello di Welby al presidente della Repubblica Napolitano? «Io parto da un presupposto: se il signor Welby fosse in grado di staccare i fili delle macchine che lo tengono in vita e di lasciare questo mondo senza soffrire ulteriormente, probabilmente l'avrebbe già fatto». Si sarebbe suicidato senza che il mondo se ne accorgesse? «Un tempo in molte legislazioni il suicidio era considerato un reato. Chi cercava di togliersi la vita e falliva nel suo intento, era perseguito penalmente. Almeno su questa terra, direbbe qualcuno. Oggi non è più così, anche in Italia: il suicida mancato non è riconosciuto giuridicamente colpevole». Da qui la contraddizione. «E' come tra il "sì" all' aborto e il "no" alle cellule staminali embrionali: "si" a chi cerca di suicidarsi, "no" a chi chiede di essere aiutato a morire perché da solo non ce la fa. La nostra legge tratta in modo diverso i  disgraziati che non hanno la forza o le braccia per lasciare questa vita». Una contraddizione soltanto giuridica? «Queste contraddizioni sono dovute al fatto che siamo in Italia e che qui i principi della Chiesa cattolica hanno un peso che altrove non hanno. La Chiesa non può che essere un'istituzione di carattere politico. Indubbiamente la sua intenzione è quella di rispettare la laicità dello Stato, ma oggettivamente ha una vocazione teocratica. E in questo, sia chiaro, la Chiesa fa il suo mestiere. Spetta poi allo Stato fare il suo». Vale a dire? «Votare la legge più democratica possibile. E' giusto il discorso cattolico: se una maggioranza cattolica vota una legge che va bene alla Chiesa, non c' è nulla da dire sulla liceità di questa legge. Rispetta le regole della maggioranza e quindi della democrazia. Se non che la democraticità di una legge è quantificabile. E io penso che su argomenti su cui c' è discussione - dall'eutanasia all' aborto, dal divorzio alla fecondazione assistita - la legge più democratica è quella che permette a ognuno di agire come crede». Dunque il rispetto del volere di ciascuno deve avere più peso del voto di una maggioranza? «Anche se la minoranza è rappresentata da un solo uomo. Non dico che la democrazia è verità assoluta. Ho grande stima di Luigi Einaudi,  Einaudi che diceva che la democrazia è un mito. Ma in questo contesto io preferisco le regole della democrazia. E più democratica è una legge che tiene conto (sottolineo, su questi temi) di quello che il singolo vuole». Dunque il suo «sì» va dal caso Welby al testamento biologico, dall' eutanasia al suicidio assistito? «Io sono per la libertà di scelta. Sono convinto che già oggi, se entro in un ospedale e chiedo di non essere oggetto di accanimento terapeutico, trovo ascolto. Certo, se non ho questa fortuna ma le gambe mi funzionano, me ne vado altrove. La tragedia è quando le gambe non mi funzionano». Partiamo dall'eutanasia. «Se viene appurato che una persona ha questa volontà, la volontà di morire senza soffrire oltre un certo limite, la legge deve riconoscerle il diritto a lasciare questo mondo. Dignitosamente. Senza nascondersi. Tanto più che spesso basta solo l' astensione da un certo tipo di azioni e un aiuto a non soffrire». E il suicidio assistito? «Tra eutanasia e suicidio assistito non vedo una differenza sostanziale.  In un caso come nell'altro se un individuo esprime il  desiderio di morire deve poter contare su una struttura pubblica che lo aiuti a raggiungere il suo intento». Una priorità su tutte che si sente di indicare al governo? «Cancellare le contraddizioni presenti nella nostra legislazione, la soluzione la lascio agli esperti.  Se poi la classe politica chiamata a decidere è legata alla Chiesa al punto da non riuscire a prendere una decisione, è finito tutto. Anche l' autonomia dello Stato, riconosciuta dalla stessa Chiesa».  

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