JWG

Ein Lehrer, der das Gefühl an einer einzigen guten Tat, an einem einzigen guten Gedicht erwecken kann, leistet mehr als einer, der uns ganze Reihen untergeordneter Naturbildungen der Gestalt und dem Namen nach überliefert. J.W.G.

martedì 8 gennaio 2013

L'ultima parola sulla vita


La visione del film "Million dollar baby" ha suscitato in me grande interesse oltre ad una profonda partecipazione al lento ed inesorabile dipanarsi della complessa trama, che vede la vicenda dell'imperscrutabile allenatore Frankie e della sua pupilla Maggie scorrere su una sequenza alternata di bisogni, violenza, ostentazione e rispetto per se stessi. Quello della boxe diventa un territorio in cui tutto appare caratterizzato da un'urgenza reale, senza involucri; un luogo dunque in cui emergono (anche senza un'apposita ricerca) le ragioni della propria sofferenza e della propria inquietudine. E' questo il caso dell'allenatore Dunn, un passato irrisolto che aleggia sulla sua vita ben più presente di un fantasma, un'urgenza profonda che lo spinge a recarsi tutti i giorni per 23 anni consecutivi a messa, Pur mantenendo un atteggiamento costantemente sprezzante nei confronti di ciò' che ascolta, non c'è dogma poco interiorizzato che gli impedisca di fare ritorno a quel luogo/Luogo il giorno seguente, segno tangibile di come egli abbia qualcosa di importante da chiedere proprio lì. La voce narrante della storia (Mr. Scrap, magistralmente interpretato dal premio Oscar Morgan Freeman) parla della boxe come di uno sport in cui si fa tutto al contrario: "Nella boxe invece di allontanarti dal dolore come farebbe ogni persona normale, gli vai incontro". A me è subito venuta in mente la profonda sete di conoscenza che personalmente sperimento nella quotidianità della vita, nelle piccole circostanze di ogni giorno, quando neppure gli avvenimenti più drastici riescono a porre fine al mio sconfinato desiderio di scoprire cosa si cela al loro interno, nelle loro viscere. Ritengo che questo connotato sia comune a tutto il genere umano (per quanto l'egemonia culturale possa notevolmente influire sul suo sviluppo o sulla sua involuzione): l'uomo non si accontenta di trovare riparo nel cantuccio che gli è stato ritagliato nella Natura; a differenza degli animali si trova dentro un'esigenza di ricerca così forte che spesso lo porta a stupirsi anche delle più elementari minuzie, proprio per il fatto che esse ci sono, sono presenti. Per cui, contrariamente a quanto si sostiene nel film, sono convinta che il primo impulso naturale dell'uomo sia quello di andare a fondo di ciò che vive, quindi anche del dolore. La difficoltà però giace a livello ontologico: dinnanzi alla prospettiva del dolore e a lungo andare della morte, esiste per l'uomo la concreta possibilità di resistere e di non soccombere ad un'intricata combinazione di eventi, in cui l'umana impotenza emerge come carattere palese? In altri termini, l'ultima parola sulla vita ce l'ha la morte, o qualcos'altro? Sarebbe forse una costante protezione verso se stessi la prima regola da imparare se un uomo riuscisse a trovare un senso anche nella propria sofferenza? La disperata richiesta di Maggie che dalla precaria postazione di un letto ospedaliero implora Frankie di concederle la morte tanto agognata (dopo una vita di lotte e di successo faticosamente ottenuto) riporta il nostro protagonista nel buio baratro degli inizi, in cui non sembra esserci spazio per una salvezza. Non vedrà altra risposta alla richiesta di aiuto rivolta al giovane sacerdote da cui si reca quotidianamente se non una flebile pacca sul ginocchio; pur percependo dunque la perdizione che potrebbe celarsi dietro una scelta così radicalmente determinante, non trova nessuno che gli dia una ragione concreta perchè lei viva. E davanti alle questioni ultimamente più significative le parole, per quanto belle e giuste possano essere, non sono sufficienti.
Di Frankie non resta che una sagoma indefinita, vagamente percepita dal vetro opaco di un luogo senza identità, così come privo di volto è rimasto il suo grido di giustizia e di compimento. Nessuno ha mai saputo più nulla sul suo conto, ma all'ipotesi azzardata da Eastwood secondo cui forse nel suo cuore non è rimasto più nulla oserei contrapporne una differente, stando alla quale la sincerità delle sue domande aveva bisogno di un volto a cui rifarsi carnalmente nell'esperienza, e forse la mancanza di quel volto presente nella storia e nella vita di chi lo cerca è la denuncia più forte di cui il film vuole essere portatore.

Claudia Ferraro

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